Riportiamo il messaggio integrale ricevuto in occasione del 2° Congresso Internazionale di Pedagogia Familiare dall’Avv. Francesco Morcavallo, già Giudice del Tribunale per i Minorenni.
Roma, il 27 e 28 maggio 2022,
Ringrazio per l’invito a intervenire in una così prestigiosa e preziosa occasione: prestigiosa per il contesto, per il livello dei relatori, per la passione degli intervenuti; preziosa perché, come in una congiuntura magica, fa da ponte tra la recente pubblicazione del “Manuale di Pedagogia Familiare” e la festa del prossimo 2 giugno, che è un po’ la festa della Costituzione.
La Costituzione, però, non è da riguardare, secondo un atteggiamento ormai troppo diffuso, come un monumento, un cimelio da parata militare. Certo, non è un testo perfetto; in molti punti è frutto più di un compromesso politico che di una chiara ispirazione logica e storica; ma porta i segni della lotta per la libertà-uguaglianza.
Si noti bene: non solo “libertà e uguaglianza”, ma “libertà-uguaglianza”, un unico concetto, quasi un’unica parola. Quella parola che è l’enunciato più importante dell’esperienza giuridica del Novecento: si è liberi solo se si è uguali, nel senso che la funzione della comunità è quella di favorire lo sviluppo della libertà di ciascun componente; si è uguali solo se si è liberi, nel senso che l’imposizione della libertà come modello sociale astratto, tramite la riduzione dell’individuo a numero della comunità, a matricola, a paziente, a fascicolo procedimentale, ha creato, storicamente, un’uguaglianza solo finta, simile a quella della ‘Fattoria degli Animali’ di Orwell, dove tutti gli animali sono uguali, ma il maiale è più uguale degli altri.
Nell’ordinamento basato sul principio fondamentale di libertà-uguaglianza, il valore essenziale della comunità dei cittadini sta nell’essere il mezzo per realizzare le inclinazioni individuali, per valorizzare l’unicità e la specialità che esiste in ogni individuo, in ogni sua relazione: così vuole l’articolo 2 della Costituzione.
E ogni attività della comunità, soprattutto se rivolta al supporto delle relazioni familiari, deve essere prima di tutto un’attività di aiuto, basata sul consenso e sul diritto degli interessati ad essere ascoltati, valorizzati e sostenuti nell’ambito di un rapporto di dialogo e fiducia: questo ci dicono gli articoli 30 e 31 della Costituzione e, più recentemente, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nell’applicare l’articolo 8 della Convenzione, in materia di tutela della vita familiare.
Dunque, quello stesso aiuto, quello stesso sostegno della comunità al singolo e alla famiglia, che la morale e la religione vedono come un moto di generosità di chi lo offre, diventa, nella prospettiva dell’ordinamento, un diritto di chi lo riceve, una forma di espressione della libertà e del valore di chi viene sostenuto in base ad un’intesa consensuale.
Se è un diritto fondamentale dell’individuo quello di vedere la collettività attivarsi in suo sostegno, è a maggior ragione un suo diritto, un’espressione della sua libertà, il partecipare a costruire il progetto di sostegno, il parteciparvi con il proprio consenso e con le risorse proprie e delle proprie relazioni affettive.
È una musica che questo uditorio già conosce bene. Nelle norme della Costituzione e nel catalogo europeo dei diritti umani troviamo, per la parte che qui ci interessa, nulla di più e nulla di meno che i princìpi della Pedagogia Familiare:
il sostegno non si risolve in un trattamento imposto, ma è costruzione partecipata e perciò stesso consensuale, condivisione e confluenza di esperienze scientifiche diverse e complementari, tutte incentrate sulla valorizzazione delle risorse concrete della persona e della famiglia, della singola persona e della specifica famiglia interessate;
il valore delle relazioni e delle attività di sostegno non sta nell’adeguamento a modelli, ma nella restituzione di dignità a dinamiche relazionali che si sviluppano fuori da uno schema precostituito;
l’unico schema è quello che deriva dall’esame della realtà, come piano di intervento incentrato sul dialogo, sulla fiducia e sulla libera individuazione dei professionisti che si scelgono per il loro impegno a creare la rete di supporto.
Al centro di quella rete è la persona, così come la persona è al centro dell’ordinamento giuridico costituzionale; la rete dei supporti non può che essere tessuta a misura di quella persona e della sua fiducia, a misura delle sue relazioni, familiari e sociali. In quella rete sembra di vedere l’immagine di un cristallo di sale in trasparenza: poche venature in controluce, l’immagine della più labile fragilità; eppure quella che stiamo osservando è una pietruzza indistruttibile. La fragilità che è al centro di quel sassolino si è trasformata in una risorsa, perché un bravo chimico (o la natura, che è spesso il chimico più bravo) ha lasciato che confluissero insieme tante fragili venature, a formare un intreccio solido, duro, confortante.
Ecco, l’autore di quell’intreccio (nell’immagine del profano, che però ha letto con interesse il Manuale di Vincenza Palmieri) è il Pedagogista Familiare, insieme alla persona e alle persone che gli si sono rivolte, ma anche insieme ai professionisti del settore pubblico e del settore privato che il Pedagogista Familiare mira a raggruppare in una squadra convergente verso lo studio e la valorizzazione della relazione familiare che gli si presenta nel caso concreto: il Pedagogista Familiare non si sostituisce a quelle professionalità, ma le cerca e le unisce, in un progetto che non ha modello precostituito; un progetto che ha il suo modello nella realtà osservata, studiata, compresa; un progetto che è sempre nuovo e forse per questo sempre entusiasmante e pronto a trarre anche dal dolore una risorsa per crescere.
E allora, come ben si vede, il mondo del diritto e della giustizia, anche nella materia della famiglia, non dovrebbe essere affatto il mondo dell’imposizione di trattamenti, del “fai come ti si dice o perdi la titolarità delle tue relazioni familiari”, dell’adeguamento a modelli paradigmatici e creati da chissà quale scienza. Al contrario: il mondo del diritto delle persone nella famiglia è governato da quelle stesse regole che nel “Manuale di Pedagogia Familiare” sono tratte dall’esperienza pluriennale del confronto, del dialogo, del contatto, della fiducia, del prendere in mano il disagio per cavarne tutto quanto di buono vi si annida in potenza.
Tutto questo presuppone la partecipazione, l’offerta chiara di un programma, la descrizione precisa di obiettivi e risorse: senza tutti questi elementi, come si potrebbe accusare qualcuno di mancare ai doveri della gestione familiare, ai compiti del genitore? Additare un problema senza fornire la soluzione vuol dire venir meno al precetto costituzionale che, come abbiamo visto, individua nel sostegno alla persona la funzione essenziale della comunità.
Certo, la costruzione della fiducia è faticosa; è ovviamente meno redditizia dell’imposizione di trattamenti con pagamento a carico dell’ente pubblico; è più laboriosa, perché la creazione di modelli di intervento concreti richiede più tempo e più fatica rispetto all’applicazione di modelli astratti, di soluzioni standardizzate, di provvedimenti sostitutivi e autoritativi (“sospendiamo la tua autonomia e ai tuoi figli pensiamo noi”). Ma a questa maggiore fatica corrisponde un maggiore successo; ne derivano soluzioni vere, persone recuperate ad una felicità libera e non morti viventi annichiliti dallo psicofarmaco o dalla segregazione forzosa. Impedire queste morti anticipate è il modo migliore per far cadere la polvere dalla Costituzione, per riscattarla da un riduttivo ruolo di cimelio e restituirla alla funziona di baluardo della libertà e della felicità.
Francesco Morcavallo